Non sono ancora 100 giorni ma ormai la nostra condizione di segregazione comincia ad essere significativa. Alcune persone si trovano a vivere e a sperimentare una sensazione di solitudine. Alcune persone per la prima volta altre invece ritrovano una vecchia compagna di viaggio.
Di che solitudine parliamo? Di chi è solo o di chi si sente solo? Ci sono persone che pur essendo in una condizione di oggettiva solitudine, non soffrono di solitudine. Viceversa c’è chi pur stando in mezzo ad altre persone soffre di questa sensazione di vuoto.
Come mai? Se questo è vero potremmo dedurre che la solitudine non è una condizione oggettiva ma è uno stato psicologico. E’ una difesa, anche se inconscia. Non parliamo quindi di singole situazioni di solitudine derivanti da eventi della vita, parliamo di una sensazione continua e persistente che condiziona il nostro modo di stare nella vita.
Cosa possiamo fare? Forse la prima cosa è renderci responsabili della nostra solitudine, ovvero capire cosa facciamo per isolarci, quali sono i comportamenti che mettiamo in atto tali per cui il risultato finale è il sentirci soli.
Non è un passaggio facile né indolore, significa prenderci la responsabilità della nostra solitudine e non pensare che ciò derivi solo ed esclusivamente da fattori che non ci riguardano (ad esempio gli altri, la sfortuna, il virus, la vita..). Riconoscere che ci sono dei passaggi dei quali siamo responsabili, e capire che se scopriamo come facciamo ad isolarci siamo già sulla buona strada per uscirne.
Ci può isolare la difficoltà di condividere con altri i nostri sentimenti più profondi, la difficoltà di chiedere aiuto a chi ci circonda quando sentiamo il bisogno di essere sorretti o ascoltati, la difficoltà di circondarci di persone che siano veramente in grado di ascoltarci e di vederci. Ci può isolare la paura di essere giudicati, respinti, derisi e per questo ci nascondiamo, ci isoliamo, ci rendiamo invisibili. Nella Speranza che prima o poi qualcuno ci veda.
Secondo passaggio: dobbiamo capire che funzione ha per noi la solitudine. Anche questo passaggio non è affatto semplice. Come è possibile che una cosa così triste e dolorosa possa avere dei “vantaggi”?
Significa che la solitudine è in fondo il minor prezzo da pagare per non entrare in situazioni, sentimenti, emozioni potenzialmente ancora più pericolosi e angoscianti. Proviamo a pensarci un momento: la solitudine è difficoltà o mancanza di relazioni nutrienti e intime, dove per intime intendo uno scambio profondo di emozioni e sentimenti con qualcun altro.
Se, ad esempio, siamo stati profondamente feriti da piccoli nei nostri sentimenti, nelle nostre relazioni più importanti, nelle nostre emozioni più profonde, se dobbiamo difendere e preservare questa ferita, in maniera inconscia faremo fatica a lasciarci andare in relazioni veramente profonde e intime. Quelle relazioni cioè che danno nutrimento alla nostra anima e che non ci faranno mai sentire veramente soli.
Noi siamo esseri viventi che vivono e hanno bisogno di nutrirsi nelle relazioni, ma se questa apertura alla relazione è stata tradita da comportamenti adulti non adeguati, rinunceremo alla relazione per la paura di sentire quel dolore profondo, e il prezzo che pagheremo sarà la sensazione di solitudine, un prezzo troppo alto che non vale la pena di pagare.
Il virus è un evento della vita come altri, imprevedibile e incontrollabile, che ci ha investito senza nessun preavviso. Se apparteniamo alla categoria umana di chi è oggettivamente solo, dovremo semplicemente ingegnarci e trovare quelle soluzioni fantasiose e tecnologiche che ci permettano di uscire da questa fastidiosa sensazione, anche se per pochi momenti della giornata, e aspettare che tutto passi.
Se invece apparteniamo alla seconda categoria di esseri umani, coloro che vivono una profonda sensazione di solitudine, che questo virus amplia in maniera esponenziale ogni giorno che passa, la soluzione è da trovare dentro di noi e non nella tecnologia o nella fantasia, bensì nel coraggio di guardare nel nostro Io profondo trovando quelle risposte che cerchiamo e soprattutto la capacità di chiedere aiuto per non sentirci soli anche in questo viaggio.